Sei tornato, Eroe.

Esse, Fisico magro, andatura lenta, capelli spettinati. Come sempre.
Si ferma di fronte all’entrata del locale.
E’ sempre lo stesso, pensa, però si vede che è bruciato.
Guarda in basso. Un istante. Entra.
Tutto come prima.
Quasi.
M sempre sul panchetto di legno in fondo al bancone, lo stesso boccale di birra scura, sicuramente non il primo e forse anche la stessa camicia.
R e i suoi amici smilzi a giocare una partita a carte, senza soldi, ma densa di rancori atavici,
un gioco di bari iniziato molto prima della guerra e che forse la guerra aveva reso solo più sporco; nessun vincitore, come sempre.
D passa lo straccio sul bancone, che è proprio come prima, solo che B non c’è appoggiato coi gomiti, c’è una sua foto appesa al muro.
Esse guarda dritto D che quando lo riconosce fa quella sua espressione piena di dolcezza e malinconia che da un omone grosso e barbuto certo non t’aspetti.
Esse abbozza un sorriso e D gli indica di là a destra, la porta sul retro.
Esse muove due passi e la porta si apre.
Jay.
Capelli raccolti, passo deciso, vassoio in mano.
Prende i vuoti al tavolino di R, un altro giro, dice lei, con lo stesso sorriso e lo stesso solito tono d’un interrogativo la cui risposta è palese.
Jay va verso il bancone, vede la faccia di D e si volta subito.
Si vedono.
Sorride, lei.
Gli spacca il cuore, come sempre.
Si vanno in contro, lei posa il vassoio, struscia la mano al grembiule e lo abbraccia proprio come sempre.
Lo sguardo di D, gli amici di R, R, anche quello stordito di M, un istante, su di loro.
Come se quella città, quella strada, quel locale, quelle persone, per un istante, avessero inteso di avere davvero un profondo bisogno che tutto sembrasse, almeno un po’, come sempre.

-E’ stata dura di brutto.-
-Sei tornato, Eroe.-

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